Mariano di Iacopo – Il Taccola – Siena

MARIANO di Iacopo (detto Taccola o Archimede da Siena). – Nacque a Siena il 4 febbr. 1381 da Iacopo, viticoltore, e da madonna Nefra (Bacci).

Il soprannome Taccola, o Tachola, gli deriverebbe dal padre e non, come tradizionalmente è stato tramandato, dalla forma del suo naso aquilino; nel suo atto di battesimo si legge infatti «Mariano Danniello di Jacomo detto Tàcchola» (Milanesi; Bacci). Il soprannome Archimede da Siena, invece, fu lui stesso a sceglierlo e se ne ha conferma nel suo trattato De machinis in cui M. si presenta come «Ser Mariano Taccole alias archimedes vocatus de magnifica ac potente civitate Senarum». Imprecise e lacunose sono le notizie riguardanti i suoi primi anni di vita e il suo apprendistato; ma dai testi della piena maturità emerge una profonda e vasta cultura, acquisita attraverso un lungo percorso formativo iniziato sicuramente nella giovinezza. La sua conoscenza del mondo classico, in particolare, fu senza dubbio notevole: M. scrisse in latino, inserendo all’interno dei suoi trattati citazioni dotte e dimostrando una conoscenza approfondita del trattato De architectura di Vitruvio.

La prima menzione di M., con riferimento alle fonti note, risale al 26 giugno 1408 e riguarda un atto di pagamento in suo favore da parte dell’Opera del duomo di Siena per l’esecuzione di «sedici teste intagliate di legno per pore al Choro di Duomo de l’altare magiore» (Beck, 1969, p. 27 doc. 2). Di quest’opera, pagata in tutto 8 lire e 8 soldi, non rimane alcuna traccia.

Il 31 dic. 1417 fu ammesso nella corporazione dei giudici e dei notai, dalla quale fu espulso l’anno successivo perché la sua iscrizione non era stata approvata dalle autorità comunali. Fu ammesso una seconda volta il 26 giugno 1420, ma come in precedenza non ottenne il riconoscimento del governo cittadino.

M. non esercitò mai questa professione; ebbe invece un contatto costante con l’ambiente artistico e letterario di Siena, nel quale riuscì a stringere numerose relazioni sia di collaborazione professionale e artistica sia di sincera amicizia. Tra queste, particolarmente rilevanti furono quelle con artisti ed esponenti dello Studio senese: con il grande umanista Mariano Sozzini, insegnante e amico di Enea Silvio Piccolomini, e con Ciriaco d’Ancona, che rappresentava il collegamento tra la cultura italiana e il mondo musulmano. È proprio grazie a quest’ultimo che una copia finemente illustrata del De machinis giunse, probabilmente, nella biblioteca del sultano ottomano Maometto II. L’opera, acquistata da Luigi XVI nel 1687, è oggi conservata presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera. M. frequentò a lungo anche Iacopo della Quercia, che fu padrino al battesimo della propria figlia, Alba, celebrato il 9 apr. 1428, e che nel 1437, in qualità di «operaio» del duomo, gli commissionerà, per complessive 34 lire e 13 soldi, l’esecuzione di «quaranta due testicuiole di legname» (Beck, 1969, p. 29 doc. 7).

Nel 1419 iniziò a scrivere uno dei suoi trattati più importanti, il De ingeneis, opera in quattro volumi conclusa nel 1450.

I primi due volumi del manoscritto autografo contengono diversi disegni di ingegneria civile e militare, alcuni dei quali corredati da note e rappresentazioni grafiche di Francesco di Giorgio Martini (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Latinus Monacensis, 197: De ingeneis, libri I-II, ripr. in facsimile: F.D. Prager – G. Scaglia, M. Taccola and his book «De ingeneis», Cambridge, MA-London 1972). Nei volumi III e IV, redatti tra il 1431 e il 1433, sono invece riuniti quasi esclusivamente disegni di idraulica (Firenze, Biblioteca nazionale, Palatino, 766; ripr. in facsimile: Mariano di Jacopo detto il Taccola. Liber tertius de ingeneis ac edifitiis non usitatis, a cura di J.H. Beck, Milano 1969).

Le problematiche ingegneristiche affrontate, le sperimentazioni e invenzioni descritte e illustrate in questi volumi sono molteplici. Di particolare rilievo sono gli studi inerenti all’assetto, allo sfruttamento e al controllo delle risorse territoriali, come quelli relativi ai sistemi di approvvigionamento idrico e di bonifica dei terreni paludosi o alle attività minerarie. Negli anni in cui M. redigeva il De ingeneis, diversi ingegneri senesi lavoravano allo sviluppo di nuove tecniche di regolamentazione delle acque e alla messa a punto di efficienti sistemi di approvvigionamento idrico. Di questi, M. fu uno dei maggiori esponenti; i progetti idraulici da lui elaborati rappresentano senza dubbio uno dei capitoli più ricchi e originali della sua opera. Con l’ausilio del disegno descrisse le tecniche e gli strumenti per la realizzazione dei «bottini», ossia le macchine per scavare gallerie sotterranee in pendenza continua, e quelli necessari a garantire un gradiente costante, senza rinunciare, per completezza di esposizione, all’illustrazione minuziosa di sifoni e pompe a bilanciere per il sollevamento delle acque. Alcuni strumenti idraulici di sua invenzione, supportati da rigorosi studi di geometria, furono inoltre utilizzati nella misurazione delle altezze e delle distanze.

Tra il 1424 e il 1433 ricoprì l’incarico di camerlengo della Domus Sapientiae, una delle maggiori istituzioni culturali senesi. Fu in quegli anni che M. sposò monna Nanna, figlia di Giacomo, artigiano attivo nel settore dei pellami, dalla quale ebbe la figlia Alba.

Intorno al 1430 M. incontrò a Siena Filippo Brunelleschi. Nella conversazione nata da quell’incontro, che M. trascrisse nel 1433 e inserì a chiusura del De ingeneis, Brunelleschi espose le proprie preoccupazioni in merito alla mancanza di dispositivi di tutela della paternità delle invenzioni dei nuovi ingegneri-inventori, sottoposte, nonostante la natura eminentemente tecnica di quei progetti, al giudizio e all’approvazione delle autorità politiche. Da quel momento sembra che la collaborazione con il maestro fiorentino sia stata proficua e continuativa.

Le numerose illustrazioni di macchinari di indubbia matrice brunelleschiana, inserite nei trattati di M., tendono a confermare questa ipotesi: il battello per il trasporto di marmi brevettato dal maestro fiorentino o le macchine per il sollevamento dei materiali utilizzate nel cantiere di S. Maria del Fiore costituiscono, in tal senso, due casi paradigmatici.

Nel 1432 M. offrì i propri servigi, come ingegnere idraulico, all’imperatore Sigismondo di Lussemburgo, sostenitore della causa di Siena contro Firenze.

La devozione al sovrano è testimoniata sia dalla dedica dei libri III e IV del De ingeneis sia dalla scelta di inserire nel trattato un ritratto di Sigismondo, raffigurato nell’atto di schiacciare la coda del marzocco, simbolo della Repubblica di Firenze. L’imperatore lo nominò suo «familiaris» e l’anno successivo lo investì del titolo di conte palatino.

Dal 1434 prestò regolarmente i suoi servizi come ingegnere idraulico e militare per la Repubblica di Siena, dalla quale ottenne numerosi incarichi. Partecipò, tra l’altro, alla realizzazione del sistema di approvvigionamento idrico della città curando in particolare il tracciamento dei bottini, rimasti in uso fino a pochi decenni fa. Ricoprì, inoltre, la carica di soprintendente ai trasporti e soprintendente alle strade, o «viaio», nel terzo di Camollia.

M. si occupò anche di pratiche subacquee, intese sia come recupero di oggetti sommersi sia come possibilità per l’uomo di galleggiare, nuotare e respirare sott’acqua senza fatica. Rappresentativi, in tal senso, sono il progetto di maschera subacquea con tubo respiratore (Gli ingegneri del Rinascimento da Brunelleschi…, p. 125, tav. II.2B.5) e quello, semplicemente abbozzato e poi portato a compimento da Leonardo da Vinci, di attrezzatura per un palombaro (ibid., p. 126, tav.II.2B.7; Beck, 1969, p. 75).

Degni di nota furono i suoi studi sulle strutture lignee, tra cui in particolare gli schemi di capriate, con e senza catena, concepite per fornire prestazioni statiche riconducibili a quelle dell’arco a tre cerniere (ibid., pp. 131-133).

Tra il 1430 e il 1449 si dedicò alla stesura del trattato De machinis in dieci libri (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Latinus Monacensis, 28800: De rebus militaribus [De machinis], ripr. in facsimile: G. Scaglia, M. Taccola, De machinis. The engineering treatise of 1449, I-II, Wiesbaden 1971. Apografi del De rebus militaribus [De machinis]: New York Public Library, Spencer Collection, 136; Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 7239, ripr. in facsimile: E. Knobloch, De rebus militaribus: De machinis 1449, M. Taccola, Baden-Baden 1984; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. lat., cl. VIII, 40 [=2941]).

Si tratta di una raccolta di disegni a uso della scienza militare e di illustrazioni in dettaglio di macchine già presentate nel De ingeneis. Progettò e descrisse armi da fuoco, rivelando uno spiccato interesse per le miscele esplosive e incendiarie come il fuoco greco nonché le mine, di cui fornì una versione del tutto simile al prototipo che Francesco di Giorgio, nel 1495, fece brillare con successo in un’apposita galleria realizzata da Antonio Marchesi da Settignano, suo collaboratore, al piede della cortina muraria del Castelnuovo a Napoli.

I testi di ingegneria militare di M., riscoperti solo intorno alla metà del Settecento, suscitarono inizialmente grande interesse soprattutto per la complessità delle macchine e delle tecniche descritte. Tuttavia, a partire dall’Ottocento, la storiografia ha via via dimostrato che le competenze di M., in materia di architettura delle difese, non furono né aggiornate né specifiche. Fa eccezione l’opinione di Guglielmotti, secondo il quale M. fu l’ideatore delle moderne fortificazioni basate sullo schema del fronte bastionato, diffusosi rapidamente e con diverse applicazioni tramite la scuola sangallesca. Lo stesso studioso, rintracciando un’evidente somiglianza tra alcuni disegni di fortificazioni pubblicati in diversi suoi trattati e l’immagine sul retro di una medaglia di Callisto III (1455-58), ha inoltre ipotizzato un coinvolgimento di M. nei lavori quattrocenteschi di adeguamento delle fortificazioni di Roma.

Dopo alcuni anni di inattività come ingegnere, nel 1453 fu nuovamente chiamato dalla Repubblica di Siena per svolgere attività di stimatore. Questa nomina prevedeva la preparazione degli appalti, la redazione dei preventivi di spesa, l’elaborazione dei progetti e il controllo della perfetta esecuzione dei lavori.

Negli ultimi anni di vita entrò a far parte dell’Ordine di S. Giacomo di Portogallo e – grazie a una pensione concessa dalla Repubblica di Siena, ai proventi derivanti dall’affitto di un podere venutogli in dote dalla moglie e al subaffitto di altri poderi – visse in una casa di proprietà della Domus Sapientiae.

L’ultimo documento autografo che lo riguarda è una denuncia dei beni di sua proprietà del 1453, nella quale, dichiarandosi frate dell’Ordine di S. Giacomo, ribadisce l’impossibilità di rivestire pubblici incarichi (Milanesi, I).

La rilevanza storica di M. è da collegare alla sua capacità di interpretare, tra i primi dell’età dell’umanesimo, il ruolo proprio del divulgatore tecnico-scientifico, autore di trattati in cui per la prima volta le immagini sono uno strumento essenziale per la comprensione e la comunicazione di un testo. La sua produzione è da leggere come il primo serio tentativo di superare la segretezza professionale tipica delle corporazioni medievali e di incentivare la libera circolazione del sapere tecnico, tramandato solo oralmente o tramite scritti approssimativi come i quaderni di bottega. In alcune pagine dei suoi trattati annotò persino la data e il luogo dell’esposizione delle sue invenzioni ad altri esperti, riportandone i commenti, le critiche e i suggerimenti. Con questo approccio, i suoi testi finirono col diventare dei veri manuali tecnici in continuo aggiornamento.

Non si conoscono luogo e data di morte di M., ma si suppone che sia morto tra il 1453 e il 1458.

 

Author: viaggiandoconlastoria

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